giovedì 27 giugno 2013

Cartagena de Indias



Cartagena de Indias, un nome mitico che da solo è capace d’evocare immagini esotiche, di foreste pluviali, spiagge candide, selvaggi semi nudi, feroci pirati e orgogliosi conquistadores spagnoli; oggi tutto questo non è più di sicuro vero, ma la città conserva ancora il suo fascino.



Noi vi siamo arrivati con una piacevole navigazione dalle San Blas, la città ci è apparsa con il sole che sorgeva disegnando il profilo dei grattacieli della città nuova su uno scenario color di fuoco, immagine affascinante, ma lontana da quella storica che ci saremmo aspettati.
L’ingresso alla grande baia di Cartagena si fa da due passaggi: la “Boca cica”, che è quello ufficiale per le navi, ben segnalato, ma con un percorso lungo e tortuoso per arrivare all’ancoraggio riservato alle imbarcazioni da diporto, e da quello della “Boca grande”.
Paradossalmente “Boca cica” è un ingresso largo e profondo, mentre “Boca grande” è stretto e poco profondo, anche se giungendo dal largo appare larghissimo; la realtà è che “Boca cica” era, ai tempi della città coloniale, facilmente difendibile, vi fanno ancora  la guardia ben tre forti, mentre la “Boca grande”, larga un miglio era una porta aperta per assalti dal mare.

L'ingresso da "Boca Grande"
Gli Spagnoli, dopo aver subito un durissimo saccheggio a opera di sir Francis Drake, pensarono bene di costruire una muraglia a pelo d’acqua che chiudeva tutto l’ingresso, in questo modo era anche una trappola per le navi assalitrici che vi si avventuravano ignare e poi s’incagliavano malamente.
Ora è stato aperto un piccolo passaggio non più largo di trenta metri e con una profondità minima dichiarata di 2,5 metri (noi abbiamo registrato nel punto più basso 3 metri), segnalato da due boe.
L’ancoraggio per le barche da diporto si trova di fronte al Club Nautico, ed ancora da quella posizione, poco si intuisce della mitica Cartagena de Indias, si è infatti circondati da moderni grattacieli e solo in lontananza s’intravedono le cupole di alcune chiese.

Per assaporare le bellezze architettoniche della città vecchia, bisogna sbarcare ai pontili del Club Nautico, dopo aver trovato un buon punto d’ancoraggio nell’affollata rada, e farsi una bella camminata fino alla porta della torre dell’orologio che immette nella cerchia muraria più interna.









Non bisogna però fermarsi solo alla ricca e ben curata cittadella, forse più interessante e ancora autentico è il quartiere di Getsemani; protetto dalla cinta muraria più esterna e ancora vissuto quotidianamente, mentre la cittadella è ormai quasi unicamente dedicata al turismo.
L’ancoraggio è relativamente sicuro tranne  quando soffia un vento improvviso che i locali chiamano: “culo di pollo” (da pronunciarsi alla spagnola con le doppie elle che suonano come un “gli” più o meno aspirato)
È un vento tipico della stagione estiva che per certi versi mi ricorda il "pampero" : come questi si manifesta sempre dopo un periodo di forte calore, ha durata simile, venti-trenta minuti e anche eguale è la direzione da Sw. , anche se visto che i due fenomeni avvengono in emisferi diversi le direzioni in realtà sono opposte.
Il "culo di pollo" manca, però, della grandiosità drammatica del "pampero" che si annuncia sempre con uno scenografico e inquietante sigaro di nere nuvole che rotolano inesorabili dalla pampas al Rio della Plata. Più semplicemente il "culo di pollo" si fa annunciare da un comune fronte temporalesco, e rinuncia completamente al sinistro sibilo che precede lo scatenarsi della furia del vento del "pampero".

Effetti di un coilpo di vento "culo de pollo"

Entrambi si fanno accompagnare da violenti scrosci di pioggia, ma il "pampero" vi aggiunge un drammatico effetto notte.
Noi abbiamo sperimentato solo dei modesti “sederi di pulcino”, con al massimo trenta nodi, ma può anche soffiare a oltre cinquanta nodi; lo ha fatto poco dopo che noi siamo partiti, e l’amico Vittorio mi ha mandato alcune foto decisamente allarmanti.
Il nome è curioso: i locali dicono che l'unico modo per vedere il culo di un pollo, è quando un forte e improvviso vento lo sorprende alle spalle, scompigliandogli il piumaggi ed esponendo alla vista il c...
In effetti è un vento che sorprende gli ancoraggi dal lato in cui non sono protetti, quindi da dietro! 

Barca danneggiata da un "culo de pollo" di fronte al Club Nautico

Un argomento sensibile in queste regioni è quello della sicurezza, e riferendosi alla Colombia subito vengono alla mente la cocaina e la FARC, due cose che si traducono subito in violenza e insicurezza, da cui l’assioma che tutto il Paese sia insicuro.
Cartagena de Indias, fa certamente eccezione a questa regola, da diversi anni è considerata totalmente sicura.  Quest’oasi di relativa pace è anche dovuta ai diversi boss del narcotraffico, che alcuni anni fa decisero d’avere un luogo tranquillo e piacevole dove tenere le famiglie e riciclare gli enormi profitti dei loro traffici.
Da questa situazione è emersa una città assolutamente particolare, anzi due città: l’antica  cittadella coloniale, che s’era mantenuta straordinariamente intatta, è stata restaurata in modo a volte maniacale, e ha fatto di Cartagena de Indias una delle più belle, e per alcuni la più bella, città coloniale dell’America latina.

il nuovo quartiere di boca grande, visto dall'ancoraggio.
Di fianco alla cittadella storica, sulla lingua di terra di “boca grande”, che chiude la rada verso l'oceano, è invece stata costruita un avveneristica città di grattacieli che in parte circonda la città storica anche sull’altra sponda della rada, e i grattacieli sembrano quasi incastonare le settecentesche mura spagnole che circondano per intero.
E qui finisce l’oasi di sicurezza, perché già addentrandosi nella vivace periferia industriale, per non parlare dei più poveri “slums”, la questione si fa totalmente differente!


mercoledì 19 giugno 2013

Cacao o Chocolate?





In un viaggio per mare, molto spesso i momenti più interessanti non sono quelli della navigazione, ma piuttosto le esperienze vissute a terra, è stato certamente cosi per la visita che abbiamo fatto alla comunità “Ngöbe” partendo da Boca de Toros.
Tostatura dei semi di cacao

"Orebä" è la parola che indica il cioccolato nella lingua degli Indios Ngöbe, dopo aver passato quasi un intera giornata nella comunità Ngöbe nella Valle las Perlas sul Rio Este Arriba, mi ricordo solo due vocaboli del loro antico e gutturale idioma: Orebä  e "Qui" che significa pollo, le due cose che abbiamo mangiato. Inutile dire che l'orebä" era squisito, il "qui" solo buono!

Gli Ngöbe  sono la più grande tribù degli abitatori originari dell'istmo di Panamà, sopravvissuti ai conquistadores e alla loro "civilizzazione". Quelli che abbiamo visitato nella loro valle immersa nella giungla, poco distante dalla città di Almirante, sono sicuramente riusciti recuperare una loro dignità e indipendenza economica, attraverso la coltivazione della pianta del cioccolato e la lavorazione e commercializzazione del suo frutto; operazioni che avvengono senza l'ausilio di nessun mezzo meccanico o chimico.
Conoscevamo dai tempi del Brasile il frutto e la pianta del cacao (originari della foresta Amazzonica e trasmigrati in epoche remotissime in Centro America), ma mai avevamo visto una piantagione o assistito alla lavorazione dei semi.
La piantagione nella giungla

Il termine piantagione s'addice poco a quello che abbiamo visto, nella Valle de las Perlas le piante di cacao sono sparse lungo pendii scoscesi all'interno della giungla che è stata appena ripulita in brevi tratti a colpi di machete per far posto alle piante di cacao e ad altre piante da frutto (banane, manghi, aguacate...) che hanno il principale compito di difendere il delicato cacao dagli attacchi di parassiti e altri predatori.
La cura delle piante e la raccolta dei frutti è affidata agli uomini della tribù, mentre le donne si occupano della fermentazione dei semi (otto, nove giorni), e dell'essiccazione ( dai nove ai quindici giorni.
Frutto del cacao pronto per essere colto

A questo punto i semi sono pronti per essere venduti a una società  svizzera, che gli paga una miseria, meno di un euro al chilo, e credo poi venda il prodotto finito, definendolo cioccolato biologico o qualcosa di simile, a prezzi da gioielleria.
Non tutti i semi finiscono però in Svizzera, una parte rimane agli Ngöbe per il loro tradizionale consumo, e ora anche per essere venduto ai visitatori e in un piccolo negozio di nicchia di Bocas del Toro.
Macinatura dei semi tostati
Silvia si cimenta nella macinatura

La lavorazione finale dei semi di cacao è di sicuro la parte più interessante, anche perché culmina con la degustazione del cioccolato!
I semi vengono prima tostati in bacili di ferro su un fuoco di legna, e già a questo punto possono essere gustati, in seguito si procede alla macinazione con una macina a mano di pietra, o ora anche con macinini meccanici, tipo quelli usati dai macellai.
, e si ottiene la polvere di cacao, con cui le donne Ngöbe fanno cialde o barre di coccolata dal colore marron scuro.
Il gusto è molto lontano da quello morbido e cremoso a cui siamo abituati, è più secco, leggermente aromatico e quasi per nulla dolce, a primo acchito può lasciare perplessi, ma dopo un poco ci si rende conto che questo è il vero sapore del cioccolato e difficilmente si potrà ritornare a quello industriale.
alla conclusione della visita ci è stato offerto un frugale, ma buon pasto a base di "qui" = pollo 

Gl Ngöbe coltivano e producono il cioccolato ancora con metodi tradizionali, ma non sono restati indietro con i tempi, hanno, infatti anche una pagina:
https://www.facebook.com/Orebachocolate/photos_albumshttps://www.facebook.com/Orebachocolate/photos_albums

martedì 11 giugno 2013

Una rotta lineare, dall'Honduras a Cartagena de Indias

In nove anni di viaggio non ci era mai capitato di concludere la stagione esattamente nel posto che avevamo scelto alla partenza!
Invece questa volta, non solo siamo arrivati nel preciso luogo scelto alla partenza, ma abbiamo anche fatto tutte le tappe previste; non so se debbo preoccuparmi...
Se non abbiamo seguito una “Rotta a Zig - Zag”, siamo però stati fedeli al nostro spirito profondamente “slow sailors”; in sette mesi abbiamo percorso circa milleduecento miglia, che significa una media di 6 miglia al giorno o di 210 al mese, roba facilmente superabile anche dal più pigro dei diportisti mediterranei in una breve stagione di vacanze estive.
La realtà è che sempre l’equipaggio del Jonathan ama sostare a lungo in tutti gli scali, solo in questo modo pensiamo si possa entrare nello spirito dei luoghi visitati e comprenderne la vera natura.
A questo spirito abbiamo forzatamente dovuto rinunciare solo nella navigazione da Buenos Aires a Trinidad in cui in sei mesi abbiamo dovuto percorre più di quattromila miglia, ma in quel caso eravamo sospinti da altre pressanti ragioni, come ho raccontato in: “Fuga da Buenos Aires a Trinidad”.


Tornando alla crociera di quest’anno ne riassumo l’andamento, in seguito avrò modo di parlare degli scali più interessanti.

Honduras.  Abbiamo lasciato il rustico cantiere di La Ceiba, dopo circa un mese di lavori, neppure molto considerando che eravamo in piena stagione delle pioggie.
L'ambiente del cantiere di La Ceiba
Varo a La Ceiba
La Ceiba, il riarmo
Isole della Bhaia.  Solo pochi giorni a Roatan per salutare un caro amico che vive li e una sosta più lunga nella bella Guanaja, dove abbiamo anche passato un felice Natale nella casa di un amico navigante svizzero che ha deciso di fermarsi in quest’isola davvero speciale.  Io avrei voluto fermarmi più a lungo, nonostante gli attacchi serali dei mosquito, ma la difficoltà di trovare una buona finestra per doppiare il Cabo Gracias a Dios, mi convinsero a lasciare a malincuore l’isola.
Isola di Guanaha, case su palafitte
Un delfino, o una delfina, che vive permanentemente nella rada di Guanahna
Tramonto a Guanaha
 Providencia. Isola appartenente alla Colombia ma situata di fronte alle coste del Nicaragua. Una navigazione di 365 miglia doppiando il famigerato Cabo Gracias a Dios; nome emblematico datogli da Cristoforo Colombo quando nel corso del suo quarto viaggio,  riuscii a doppiarlo solo dopo due mesi di grandi sforzi.  Anche per noi è stato un passaggio faticoso, nonostante fossimo enormemente più avvantaggiati rispetto al grande navigatore genovese.  Doppiato il capo, e usciti dalla grande area di bassi fondali che lo circondano, ci siamo dovuti sorbire 130 miglia di bolina con una media di trenta nodi e onde alte più di tre metri, ma il Jonathan con tre mani e trinchetta si è comportato, come al solito, molto bene!
Providencia, o meglio “Isla della Divina Providencia”, fu covo di pirati e più volte visitata dal mio amico Sir Henry Morgan, offre ai naviganti un ancoraggio sicuro anche se molto ventoso, e una popolazione che, nonostante le origini è molto amichevole e ospitale.  Anche qui avremmo voluto fermarmi più a lungo, ma la meteorologia ci ha suggerito, dopo soli venti giorni di permanenza, di salpare con rotta pieno sud. 

Passaggio del Cabo Gracias a Dios
Isola di Providencia, l'ancoraggio
Providencia, architettura caraibica
Providencia. "Nasoblu" dell'amico Andrea salpa per il Guatemala
 Boca del Toros.  Un vasto e complesso sistema di baie e lagune situato al confine tra lo stato di Panamà e il Costa Rica; Boca del Toros fu molto frequentata da pirati e bucanieri, che  in un meandro di baie, isole e canali circondati da una fitta foresta pluviale, vi trovavano un sicuro rifugio e la possibilità di rifornirsi di selvaggina per la cambusa, e legname per riparare le loro veloci imbarcazioni.  
Nell’aspetto da allora poco è cambiato, e noi incantati dalla magia del luogo ci siamo fermati per due mesi.
Partenza da Providencia per Boca de Toros
Tramonto su Santandres, 50 miglia a sud di Providencia

Boca de Toror, un mondo acquatico
Boca de Toros, ragazza...colorata!
Boca de Toros, isola di Colon, case sulla riva.
Il Jonathan alla fonda

Panamà. Abbiamo fatto una sosta molto breve nella brutta e violenta città di Colon, non dovendo attraversare il Canale, cosa che non era nei nostri programmi, non vi era nessuna ragione per fermarcisi a lungo.
Poco distante da Colon ci attendevano due scali molto più piacevoli:
Portobelo è una grande baia ampiamente aperta a ovest, che ospitava il più grande porto della Spagna in Centroamerica, e dove il solito Morgan, mise a segno uno dei saccheggi più audaci e lucrosi di tutta la sua carriera.  

Oggi la baia conserva le vestigia dei forti che la difendevano (a quanto pare con poco successo) e al posto dei pesanti galeoni vi sono numerose moderne barche a vela.

Portobelo
Portobelo, la rada.
Portobelo, uno dei sei forti difensivi

Puerto Lindo dista solo poche miglia da Portobelo,  è un ancoraggio meglio protetto, ma anche meno interessante, se si fa eccezione per la piccola isola di Linton popolata da una simpatica colonia di scimmie.

Ancoraggio a Puerto Lindo
Puerto Lindo

Arcipelago delle San Blas. Ci siamo arrivati da Puerto Lindo con una facile bolina di una cinquantina di miglia.  
Meta che era nel nostro mirino fin dalla partenza, e che a forza di cambi di rotta a Zig-Zag abbiamo impiegato nove anni a raggiungere! 
Parlare delle San Blas  e dell'etina Kuna che le popolano è complesso, posso anticipare che ci siamo fermati poco più di un mese, ricevendone impressioni contraddittorie; in tutti i casi vi torneremo anche la prossima stagione per approfondirle meglio.


San Blas, isola di Cicisme
San Blas, alba a Lemmon Cays
Capanna Kuna

Caio Hollandes, si raccoglie acqua dolce da un pozzo

Trattativa per l'acquisto di "molas"
Lemmon Kays, caicco a vela
Giovani bellezze Kuna
San Blas

Cartagena de Indias.  Durante l’inverno, quando l’aliseo da nord est soffia alla sua massima potenza, le duecento miglia che separano le San Blas da Cartagena, tutte da fare contro vento, possono essere molto difficili.  
Noi siamo partiti dalle San Blas nel momento di cambio di stagione, il migliore poiché il vento cala, il mare si calma e non si rischiano i forti fronti temporaleschi che scoppiano improvvisamente in estate.  Duecento miglia tra le più piacevoli della stagione, con il Jonathan che scivolava tranquillo sospinto da lievi brezze su di un mare perfettamente calmo, cosa che da anni non ci succedeva!
Cartagena de Indias, ci ha accolti nella sua grande baia in cui subito si coglie il contrasto tra gli svettanti grattacieli della città moderna e le mura settecentesche  guarnite da garitte e forti, che circondano interamente la città coloniale.  Una delle meglio conservate e più affascinanti di tutta l’America latina.

Arrivo a Cartagena de Indias all'alba

I grattcieli di Boca Grande

Città vecchia di Cartagena
Cartagena il quartiere di Getsemani
 A Cartagena, dopo un mese di sosta, in parte alla fonda in rada e in parte ormeggiati a un pontile del Club Nautico, abbiamo trovato una consona sistemazione a terra per il Jonathan, che ci attenderà tranquillo sui suoi trampoli fino al nostro ritorno a metà Ottobre.
Il Jonathan ci aspetta al cantiere Todomar
  
Quando lo abbiamo salutato mi ha chiesto:
“Dove andiamo quando tornate?”
Sono rimasto un poco in imbarazzo poi gli ho risposto:
“Sarà una sorpresa che ti riveleremo al nostro ritorno”.
La realtà è che ancora non lo sappiamo, ma dovremo ben pensarci, il Jonathan non può essere lasciato senza risposta!