sabato 16 agosto 2014

OMERO NEL BALTICO? Ci hanno rubato Ulisse!?


Tutti quelli che hanno navigato in Mediterraneo, di certo almeno una volta, hanno pensato di ripercorrere una rotta d'Ulisse, o d'aver calcato, emozionandosi, una terra in cui il sandalo del magnanimo re di Itaca, aveva lasciato la sua impronta.
Navigare tra le isole del Mediterraneo immaginando di ricucire rotte e racconti dell'Odissea è sempre stato per me un emozionante gioco, reso ancora più avventuroso, quando spintomi più lontano potei risalire le pendici dell'acropoli di Troja, e dall'alto di quello che restava della città di Priamo, vidi i due fiumi; lo Scamandro a sinistra e il Simoenta a destra, e mi parve di scorgere, laggiù verso la spiaggia; le nere navi achee tirate in secco, il biancheggiare delle tende dell'accampamento e il levarsi dei fumi dei fuochi sacrificali.
Fui profondamente emozionato al pensiero che stavo guardando quello scenario dal medesimo punto in cui Andromeda seguii lo sfortunato scontro del suo sposo col furioso Achille!
Mi capitò anche, come immagino a tanti altri, di cercare le tracce degli amori tra la leggiadra ninfa Calipso e l'astuto eroe, nella piccola grotta sull'assolata Gozo, o in quella più vasta di Sateria sulla pietrosa Pantelleria.
Diedi fondo all'ancora nella rada dell'isola di Itaca, dove sbarcò Telemaco di ritorno dalla sua missione alla magione del prudente Nestore e alla reggia del biondo Menelao, convinto di ricalcare le orme del figlio del ramingo Ulisse!
Ebbene ho appena letto un libro: Omero nel Baltico di Felice Vinci che ha messo in crisi le mie convinzioni, anche se ben sapevo che non potevano essere assolute certezze, mi davano tuttavia un quadro credibile in cui veder muovere i personaggi che emergevano dal mondo omerico.
Certo girando per il Mediterraneo alla ricerca delle tracce d'Ulisse, i dubbi che m'assillavano erano sempre tanti: difficile fare collimare le annotazioni geografiche, sempre confuse e discordanti con la geografia del Mediterraneo, che per altro Omero descrive sempre cupo e burrascoso, mentre io nel periodo estivo ero abituato a vedere sereno e blu, anche nelle più furiose sventolate da Maestrale, o nell'imperversare del Meltemi in Egeo. Ho sempre pensato, però, che le avventure d'Ulisse fossero una opera prevalentemente di fantasia, che forse riuniva diverse leggende dell'area mediterranea; quindi le incongruenze non mi disturbavano molto.
Le vicende narrate nell'Iliade, che inoltre non pare opera del medesimo autore, mi sono, invece, sempre parse più vicine alla storia, e per questo non ebbi sensazioni di scollamento quando risalii le pendici d'Ilio.
Ora è arrivato, almeno per me, poiché da altri era già da tempo conosciuto, Felice Vinci a ribaltare tutto e a catapultare le avventure omeriche niente meno che nel profondo nord nel - e qui ci sta un aggettivo omerico - “livido” Mar Baltico!
Basta dunque cercare d'immaginare il proprio eroe, veleggiare sulle azzurre acque del Mediterraneo, intrattenere dolci amori con Circe e Calipso sotto un terso cielo, percorso da soffici batuffoli di bianche nubi, e sbarcare nella riarsa Itaca assordato dal frinire delle cicale; Felice Vinci mi dice che tutto questo non è vero e debbo cambiare radicalmente lo scenario delle mie fantasticherie!
L'autore di Omero nel Baltico, nel suo interessante libro, che deve essere letto perché è impossibile riassumerlo in poche parole, ci spiega il percorso che ha compiuto per arrivare a ricostruire una geografia omerica nel Mar Baltico.
Tutto ha avuto inizio da un affermazione di Plutarco (storiografo greco-romano del primo secolo dopo cristo. n.d.a.) il quale asseriva che l'isola di Ogiggia si trovava nell'Atlantico del nord a cinque giorni di navigazione verso occidente (Ovest) dalla Brittannia, e che quelle isole erano abitate da genti greche. Prendendo per vero questo presupposto, l'Autore ha identificato le isole nell'arcipelago delle Faerøerne, come le più probabili, e nell'attuale Sodhuroy, che è la più esterna verso sud est, l'isola di Calipso.
Da qui sembra verosimile che il multiforme Ulisse abbia potuto percorre una rotta verso Est, tenendo sempre l'Orsa maggiore a sinistra secondo i consigli della stessa ninfa Calipso, per raggiungere la montuosa costa dell'attuale Norvegia, e poi discendere “abbracciato a un tronco” verso Sud, sospinto dal favorevole vento da Borea ( Nord ), inviatogli dalla provvida dea dagli occhi turchesi, fino alla terra dei Feaci.
( È vero che Omero indica sempre come terra, e mai come Isola il regno di Alcinoo costruttore di navi. n.d.a.). Qui giunto. Ulisse, riuscirà finalmente a prendere terra alla foce di un fiume che “ritirerà l'onde”, che prima lo respingevano inesorabilmente al largo, e verrà trovato dalla soccorrevole Nausicaa che, premurosa, lo farà subito ricoprire, dalle sue ancelle, con una tunica e una caldo mantello.
Secondo Vinci il ritiro delle onde del fiume corrisponde a una "stanca di marea", fenomeno ben noto nei mari del Nord e poco appariscente in Mediterraneo, e Nausicaa fece ricoprire il vigoroso naufrago, non tanto per celarne la nudità, ma piuttosto per proteggerlo dal freddo. Vinci ritiene, inoltre, perfettamente compatibili i diciassette giorni di navigazione, di cui due alla deriva abbracciato al tronco, impiegati da Ulisse per raggiungere la terra dei Feaci dall'isola di Calipso.

TAV 1- Luoghi omerici nel Baltico e Mare del Nord

"Per diciassette giorni navigò traversando l'abisso,/ al diciottesimo apparvero i monti
ombrosi/ della terra feacia: era già vicinissima,/ sembrava come uno scudo,
là nel mare nebbioso"
Dalla terra dei Feaci, che l'Autore colloca nella parte meridionale dell'attuale Norvegia, individua in un arcipelago Danese posto tra la Penisola dello Jutland e la grand isola di Fyøna, quello che più verosimilmente assomiglia alla descrizione omerica:
"Abito Itaca aprica: un monte c'è in essa,/ il Nerito sussurro di fronde, bellissimo:
intorno s'affollano/ isole molte, vicine una all'altra,/ Dulichio, Same
e la selvosa Zacinto./ Ma essa è bassa, l'ultima là, in fondo al mare,/ verso la
notte: l'altre più avanti, verso l'aurora e il sole"
Cosi' l'Autore trova la collocazione per le tre isole principali, Dulichio (l'isola Lunga ), di cui in Mediterraneo, asserisce non esservi traccia, Same, Zacinto e la piccola Lyø “verso la notte”, appunto la più occidentale, che parrebbe, anche corrispondere meglio alla descrizione omerica dell'Itaca d'Ulisse.

TAV 2 Itaca mediterranea e Itaca baltica

Continuando sulla falsa riga delle indicazioni fino a qui verificate, nel libro si vedrà, come venga trovata una precisa collocazione a tutte le località omeriche, arrivando fino a situare l'antica Troja in coincidenza con un piccolo villaggio della Finlandia meridionale Toija, i cui dintorni topografici s'avvicinano alla descrizione fatta dall'autore dell'Iliade.
Giunti a questo punto è inevitabile chiedersi come sia stato possibile che i nordici Argivi omerici abbiano trasferito i loro toponimi e le loro leggende dal brumoso Mar Baltico al solatio Mediterraneo?
Felice Vinci ipotizza una grande migrazione verso sud, attorno al 3000 a.c., resa necessaria dall'avvenuto cambio climatico per cui le estreme regioni nordiche abitate dalla popolazione achea, che fino a quel momento avevano goduto di quello comunemente chiamato “optimum climatico” divennero sempre più inospitali, spingendo queste genti a scendere sempre più a sud fino a ritrovare un ambiente, il Mediterraneo, simile a quello che avevano lasciato.
(nota: la climatologia situa tra il 10.000 e il 4000 a.c. un periodo in cui le temperature medie erano più alte di 2-3° rispetto a quelle attuali; il raffreddamento divenne più marcato a partire dal 3500 a.c. e il periodo dell'Optimum climatico, è considerato finito nel 3000 a.c. n.d.a.)
La storiografia non è ancora riuscita a definire in modo inequivocabile la provenienza del popolo Acheo, che occupò la penisola del Peloponneso attorno al 1500 a.c., e si limita a definirli “una popolazione indoeuropea”, ma Felice Vinci è persuaso che arrivassero direttamente dalle regioni del Baltico e che trasferirono le loro leggende e conoscenze nel bacino mediterraneo.
A sostegno della sua tesi, il Vinci porta diverse considerazioni, tra cui: la capigliatura bionda (sia Ulisse che Menelao sono definiti da Omero biondi. n.d.a.), la dea Minerva ha gli occhi azzurri, del resto è anche storicamente assodato che gli Achei fossero biondi.
Fa ripetutamente notare, inoltre, che l'ambiente climatico descritto nel poema è ben lontano da quello mediterraneo: mare sempre cupo e burrascoso, venti freddi, diffusissime le nebbie, descrizione di fenomeni quali l'aurora boreale, i protagonisti si vestono con indumenti pesanti e perfino folte pellicce, banchettano sempre attorno a focolari accesi, tutti elementi che fanno pensare a un clima ben diverso da quello abituale nel Mediterraneo, tanto più che le vicende narrate dll'Odissea si svolgono nel periodo favorevole alla navigazione; l'estate, che nell'antichità, era reputata l'unica possibile per la navigazione.
Sarebbe qui troppo lungo e dispersivo elencare tutte le ragioni argomentate da Felice Vinci, che, ad esempio fa dei ragionevoli paralleli tra la mitologia e le leggende nordiche e quelle del mondo acheo.
La lettura di Omero nel Baltico è avvincente e per molti versi convincente, anche se mancano ancora quei ritrovamenti archeologici che potrebbero in modo definitivo ribaltare il mondo omerico dal solare Mediterraneo al brumoso Mar Baltico.
Riflessioni e dubbi
Molto tempo fa, avevo già letto di un altra teoria che vedeva l'Odissea ambientata tra le isole britanniche.
In questo caso le peregrinazioni dell'astuto Ulisse prendevano le mosse dal Mediterraneo, si dipanavano tra le isole britanniche, per poi concludersi in Mediterraneo, e il racconto di Ulisse ad Alcino altro non era che una narrazione cifrata per permettere, a chi possedeva la chiave del codice, di ripercorrere la rotta da lui fatta per rifornirsi del prezioso stagno; informazioni che l'astuto Ulisse non voleva dare al suo soccorritore, ma che era anche un suo concorrente nei commerci. La Britannia era, infatti ricca di stagno, indispensabile per ottenere il bronzo fondendolo con il rame, e Ulisse vi si recò per non ritornare a mani vuote, dopo dieci anni di guerra, alla sua Itaca.
Questa teoria era seduttiva e in parte credibile, ed aveva il grande vantaggio di rendere di pura fantasia tutte le avventure raccontate da Ulisse ad Alcinoo, e inoltre mi permetteva, pur non rinunciando al mediterraneo, di non rompermi la testa cercando di far collimare le peregrinazioni d'Odisseo, con la nota geografia mediterranea.
Lo studio di Felice Vinci è di sicuro molto più articolato, serio e documentato, e direi intrigante perché sembra mettere al loro posto tanti pezzi di un puzzle che prima non volevano proprio trovare una giusta collocazione, nonostante questo fatico ad accettare che mi abbiano privato del tanto amato e inseguito Ulisse mediterraneo!
Alcune considerazioni geografiche
Senza voler entrare in una disquisizione, cui non ho le competenze, ci sono alcune cose che di primo acchito mi hanno lasciato perplesso nella pur completa e approfondita teoria espressa in Omero nel Baltico.
Da navigatore trovo deboli le basi su cui Felice Vinci ha individuato nelle Faerøerne l'isola di Calipso, ed è da questo punto fisso che prende le mosse tutta la successiva ricostruzione della geografia omerica nel Baltico; ricordiamoci che Plutarco scrisse, come è riportato testualmente ne Omero nel Baltico:
l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad
Itaca, è situata nell'Atlantico del nord, a cinque giorni di navigazione dalla
Britannia in direzione occidente".



TAV 3 Rotte e distanze 

Ebbene se dal capo Whath in Scozia (Nord ovest delle Scozia. n.d.a.) volessimo navigare verso Sodhuroy, che è l'isola ipotizzata essere l'Ogiggia omerica, dovremmo coprire 173 miglia nautiche con rotta vera 343°, in parole povere quasi dritti per Nord!
Direzione tutta differente dalle affermazioni di Plutarco che situa le isole a Occidente della Britannia; riguardo ai cinque giorni di navigazione la valutazione diviene più difficile, poiché non vi sono dati precisi sulla velocità media delle navi onerarie romane del primo secolo d.c., le uniche su cui Plutarco potesse fare delle congetture. Sappiamo, però, che queste navi potevano tenere una media di oltre 6 nodi nella traversata tra Ostia e Alessandria d'Egitto, in presenza di venti favorevoli. Nella parte di Atlantico del Nord di cui stiamo parlando, nella stagione estiva non esistono venti predominanti, e questi soffiano a una forza media 4 Beaufort, in modo quasi eguale da tutti i quadranti; con un alternanza di venti favorevoli, rare calme e venti contrari, è possibile ipotizzare, per una nave che disponesse anche di propulsione a remi, una velocità media non inferiore ai 2,5 nodi, equivalenti a 60 miglia nelle 24 ore, quindi 300 miglia in cinque giorni, quasi il doppio della distanza dichiarata che separa il nord della Britannia dalle Faerøerne.



TAV 5 venti predominanti mare del nord

La distanza di 173 miglia in cinque giorni, è invece troppo breve anche per una nave del tempo, significherebbe, infatti, 30 miglia nelle 24 ore, ossia meno di 1,5 nodi, tempi poco probabili, anche se in mare tutto è sempre possibile!
Tracciando un cerchio con raggio di 300 miglia nautiche e centro sul Capo Whath, non s'incontra nessuna terra verso ovest, e solo la Norvegia in direzione Est, il cerchio s'avvicina, però, all'Islanda che si trova a 446 miglia per 320°.
La direzione, sebbene leggermente più a Ovest, resta in ogni modo prevalentemente a Nord, ma la distanza per una nave del tempo di Plutarco, in condizioni favorevoli è invece possibile, si tratterebbe, infatti, di navigare a una ragionevole media di 3,8 nodi. In questo caso, però, diventerebbe più difficile fare collimare i diciassette giorni e le diciassette notti in cui Omero fa navigare Ulisse attraverso “l'abisso di mare”, prima su di una zattera e poi aggrappato a un tronco; vorrebbe dire, infatti, che l'inclito marinaio navigò, da solo e su mezzi tanto primitivi, alla media di quasi 2 nodi, e bisogna tenere conto anche che le ultime circa 200 miglia le percorse alla deriva.
Inoltre l'Islanda è troppo alta di latitudine e difficilmente doveva avere, nonostante le favorevoli condizioni dell'optimum climatico, le condizioni climatiche abbastanza temperate descritte da Omero per l'isola d'Ogiggia.
Le uniche isole che si trovano a occidente del nord della Bitannia sono le Ebridi, che però distano dalla costa solo 24 miglia e sono incompatibili con le peregrinazioni d'Ulisse, sia per raggiungere l'isola di Calipso, sia per lasciarla.
Mi pare, in sostanza, che sia poco probabile individuare l'sola di Calipso con le indicazioni date da Plutarco, che scriveva da una distanza temporale enorme rispetto ai fatti Omerici, e che probabilmente alla sua epoca, o non disponeva di dati geografici precisi, o prese una grande cantonata!
Se però si accetta l'identificazione dell'antica Ogiggia con la moderna Sodhuroy, la ricostruzione geografica, che fa Felice Vinci, della navigazione d'Odisseo da Ogiggia alla terra dei Feaci (Norvegia meridionale n.d.a.) fino a Lyø, la presunta Itaca baltica, con qualche necessaria forzatura è plausibile.
Non voglio qui analizzare tutta la complessa e dettagliata ricostruzione del mondo omerico nella realtà geografica del Baltico, fatta dal Vinci, mi preme solo rilevare due cose che mi lasciano molto perplesso.
Come avevo già detto, l'autore individua anche la supposta Troja in corrispondenza di un villaggio della Finlandia meridionale che ha una curiosa assonanza di nome: Toija, e che anch'essa, come la città dell'Iliade, è situata su un modesto rilievo e circondata da da due fiumi che vanno a sfociare nel mare, che però è a ben 40 chilometri dalla città!
Sempre in Finlandia, nella Carelia meridionale si trova un altro villaggio con il medesimo nome, distante circa 64 chilometri dal mare; la ridondanza del toponimo, fa nascere dei dubbi sulla relazione con la presunta Troja omerica.



TAV 5 Troja nel Baltico, identificata con il villaggio di Toija


 TAV 6 il sito archeologico di Trojia in Anatolia

La distanza dal mare della Troja di Schiliemann è, invece, di poco più di 4 chilometri, anche i due fiumi, lo Scanandro e il Simoenta sono facilmente individuabili, e il sito sembra essere ragionevolmente compatibile con quanto narrato nell'Iliade.
Pur volendo credere in un considerevole ritiro del mare dai tempi preistorici (come avvenuto in Mediterraneo), non torna però più, la precisa corrispondenza tra le coste di Lyø e l'Itaca descritta da Omero, cosi ben individuati dall'autore; con un mare più basso Itaca sarebbe stata considerevolmente più grande, se non perfino collegata alla vicina Fyøna, il braccio di mare che le separa ha, infatti, una profondità modesta, attorno ai 12 metri, con un breve affossamento a circa 22 metri!
Un altro elemento che non mi ha convinto da subito nelle enunciazioni del Vinci è, e cito testualmente:
... e Dulichio, l'isola "Lunga" ("dolichòs" in greco) situata da Omero nei pressi di Itaca
ma inesistente nel Mediterraneo, viene menzionata più volte, anche nell'Iliade.”
Tutti coloro che hanno navigato lungo le coste della Dalmazia, conoscono invece, molto bene Dougi Otok, che oltre ad essere fisicamente lunga, e quindi simile alla Langleand Danese (la Dulichio omerica. n.d.a.), ha di fatto il medesimo nome, di certo è relativamente lontana da Itaca, però contraddice l'affermazione che in Mediterraneo non esista un isola simile.
Alla base di questa ricostruzione, come del resto di tutte le altre del mondo Omerico, vi è sempre la presunzione che Omero, o chi per lui, raccontasse fatti realmente accaduti e fosse anche un profondo conoscitore della realtà geografica del mondo in cui erano ambientati, e si finisce quasi sempre nel ripercorrere le orme degli eroi omerici, quasi con il testo alla mano!
Abbiamo però visto come anche le asserzioni di Plutarco, che pur scriveva in una epoca storicamente molto più vicina alla nostra rispetto a quella omerica, sia del tutto inaffidabile nelle sue ricostruzioni geografiche; come possiamo pensare, allora, che Omero potesse invece conoscere cosi bene la realtà geografica del Mediterraneo, tanto da poter creare itinerari coerenti?
Non sarebbe allora possibile pensare che Omero, avesse narrato le avventure di un leggendario eroe dell'antica storia delle genti achee, che si, s'erano spostate dal Nord al Mediterraneo, e qui avevano in effetti combattuto una guerra come quella di Troja, ma le avventure di Ulisse, che prendono le mosse dal fatto storico di Troja - storia quasi certamente raccontata da un altro cantore - siano invece un puro racconto fantastico, in cui effettivamente vengono a volte inseriti elementi delle leggende nordiche, senza nessuna pretesa d'esattezza geografica, ma evidentemente inserendovi notazioni tipiche di quelle regioni; come il clima freddo, la nebbia, l'ampio uso di dritti pali d'abete e molte altre cose giustamente rimarcate dall'autore d'Omero nel Baltico.
Questa interpretazione mi piace, perché così posso continuare a immaginare Ulisse in Mediterraneo, anche se con alcune puntate al Nord, e mi sento meno defraudato!

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5 commenti:

  1. Mettici pure che due giorni aggrappato a un tronco nel baltico non ci stai, non c'è optimum climatico che tenga: il buon Ulisse sarebbe morto di ipotermia in poche ore, con buona pace del Pindemonte.

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  2. Non avete letto il libro, o non lo avete letto attentamente. Mi dispiace per voi perchè è un libro molto interessante anche a prescindere dalla tesi che propugna. vorrei fare solo alcvune precisazioni: Il vinci riporta il passo in greco di Plutarco dove si dice in realtà che l'isola Ogigia si trova in direzione "verso la sera" (pros esperan) e quindi nord-nord ovest. A quelle latitudini, d'estate, è in quella direzione che tramonta il sole. Per quanto rigurada la distanza della troja finnica dal mare l'autore spiega che il mare all'epoca degli Achei, circa 1800 a.C., si trovava a pochi km, nella località attualmente chiamata Aijala che in greco (Aigialos) significa appunto la spiaggia. Il mare si è poi allontanato per il fenomeno bradisismico d'innalzamento della terra finnica dovuto allo scioglimento dei ghiacci dall'ultima glaciazione e che è ancora in atto. Quanto al mare, in cui si trova aggrappato al tronco Ulisse, si tratta del mare del nord e non del baltico. Nel mare del nord passa ancora la corrente del golfo che mitiga il clima. Certa mente sarebbe comunque molto difficile rimanere vivi ma ricordiamoci che all'epoca vigeva ancora l'ultimo residuo dell'optimum climatico e in ogni caso qui si tratta di un espediente romanzesco. Anche se non è plausibile quello che racconta Omero, ciò non inficia la teoria del Vinci

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  3. Vorrei anche aggiungere a quanto detto sopra che non basta trovare un'isola "lunga" per pretendere di aver individuato la dulichio mediterranea, bisogna anche che essa sia nella giusta posizione rispetto al resto dell'arcipelago e del mondo omerico. ciò si verifica solo nel mar Baltico e certamente non nel Mediterraneo

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  4. Grazie allo "sconosciuto" per essersi palesato come Roberto, e grazie dei commenti.
    Mi fa piacere vedere che esistono persone con incrollabili certezze. io sono invece sempre roso da dubbi e curiosità.
    Se Roberto avesse letto bene il mio modesto articolo come il più ponderoso e interessante libro del Vinci, si sarebbe accorto che io non nego l'avvincente teoria dell'Autore di "Omero nel Baltico" ma ne metto solo in dubbio alcuni punti anche alla luce delle mie esperienze e conoscenze come navigatore, e suppongo una possibile teoria che, almeno in parte, riporti l'astuto eroe nelle acque delle nostre amate conoscenze letterarie!

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  5. per carità, nessuna certezza. Magari fosse possibile. Comunque complimenti per il sito.

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