sabato 16 agosto 2014

OMERO NEL BALTICO? Ci hanno rubato Ulisse!?


Tutti quelli che hanno navigato in Mediterraneo, di certo almeno una volta, hanno pensato di ripercorrere una rotta d'Ulisse, o d'aver calcato, emozionandosi, una terra in cui il sandalo del magnanimo re di Itaca, aveva lasciato la sua impronta.
Navigare tra le isole del Mediterraneo immaginando di ricucire rotte e racconti dell'Odissea è sempre stato per me un emozionante gioco, reso ancora più avventuroso, quando spintomi più lontano potei risalire le pendici dell'acropoli di Troja, e dall'alto di quello che restava della città di Priamo, vidi i due fiumi; lo Scamandro a sinistra e il Simoenta a destra, e mi parve di scorgere, laggiù verso la spiaggia; le nere navi achee tirate in secco, il biancheggiare delle tende dell'accampamento e il levarsi dei fumi dei fuochi sacrificali.
Fui profondamente emozionato al pensiero che stavo guardando quello scenario dal medesimo punto in cui Andromeda seguii lo sfortunato scontro del suo sposo col furioso Achille!
Mi capitò anche, come immagino a tanti altri, di cercare le tracce degli amori tra la leggiadra ninfa Calipso e l'astuto eroe, nella piccola grotta sull'assolata Gozo, o in quella più vasta di Sateria sulla pietrosa Pantelleria.
Diedi fondo all'ancora nella rada dell'isola di Itaca, dove sbarcò Telemaco di ritorno dalla sua missione alla magione del prudente Nestore e alla reggia del biondo Menelao, convinto di ricalcare le orme del figlio del ramingo Ulisse!
Ebbene ho appena letto un libro: Omero nel Baltico di Felice Vinci che ha messo in crisi le mie convinzioni, anche se ben sapevo che non potevano essere assolute certezze, mi davano tuttavia un quadro credibile in cui veder muovere i personaggi che emergevano dal mondo omerico.
Certo girando per il Mediterraneo alla ricerca delle tracce d'Ulisse, i dubbi che m'assillavano erano sempre tanti: difficile fare collimare le annotazioni geografiche, sempre confuse e discordanti con la geografia del Mediterraneo, che per altro Omero descrive sempre cupo e burrascoso, mentre io nel periodo estivo ero abituato a vedere sereno e blu, anche nelle più furiose sventolate da Maestrale, o nell'imperversare del Meltemi in Egeo. Ho sempre pensato, però, che le avventure d'Ulisse fossero una opera prevalentemente di fantasia, che forse riuniva diverse leggende dell'area mediterranea; quindi le incongruenze non mi disturbavano molto.
Le vicende narrate nell'Iliade, che inoltre non pare opera del medesimo autore, mi sono, invece, sempre parse più vicine alla storia, e per questo non ebbi sensazioni di scollamento quando risalii le pendici d'Ilio.
Ora è arrivato, almeno per me, poiché da altri era già da tempo conosciuto, Felice Vinci a ribaltare tutto e a catapultare le avventure omeriche niente meno che nel profondo nord nel - e qui ci sta un aggettivo omerico - “livido” Mar Baltico!
Basta dunque cercare d'immaginare il proprio eroe, veleggiare sulle azzurre acque del Mediterraneo, intrattenere dolci amori con Circe e Calipso sotto un terso cielo, percorso da soffici batuffoli di bianche nubi, e sbarcare nella riarsa Itaca assordato dal frinire delle cicale; Felice Vinci mi dice che tutto questo non è vero e debbo cambiare radicalmente lo scenario delle mie fantasticherie!
L'autore di Omero nel Baltico, nel suo interessante libro, che deve essere letto perché è impossibile riassumerlo in poche parole, ci spiega il percorso che ha compiuto per arrivare a ricostruire una geografia omerica nel Mar Baltico.
Tutto ha avuto inizio da un affermazione di Plutarco (storiografo greco-romano del primo secolo dopo cristo. n.d.a.) il quale asseriva che l'isola di Ogiggia si trovava nell'Atlantico del nord a cinque giorni di navigazione verso occidente (Ovest) dalla Brittannia, e che quelle isole erano abitate da genti greche. Prendendo per vero questo presupposto, l'Autore ha identificato le isole nell'arcipelago delle Faerøerne, come le più probabili, e nell'attuale Sodhuroy, che è la più esterna verso sud est, l'isola di Calipso.
Da qui sembra verosimile che il multiforme Ulisse abbia potuto percorre una rotta verso Est, tenendo sempre l'Orsa maggiore a sinistra secondo i consigli della stessa ninfa Calipso, per raggiungere la montuosa costa dell'attuale Norvegia, e poi discendere “abbracciato a un tronco” verso Sud, sospinto dal favorevole vento da Borea ( Nord ), inviatogli dalla provvida dea dagli occhi turchesi, fino alla terra dei Feaci.
( È vero che Omero indica sempre come terra, e mai come Isola il regno di Alcinoo costruttore di navi. n.d.a.). Qui giunto. Ulisse, riuscirà finalmente a prendere terra alla foce di un fiume che “ritirerà l'onde”, che prima lo respingevano inesorabilmente al largo, e verrà trovato dalla soccorrevole Nausicaa che, premurosa, lo farà subito ricoprire, dalle sue ancelle, con una tunica e una caldo mantello.
Secondo Vinci il ritiro delle onde del fiume corrisponde a una "stanca di marea", fenomeno ben noto nei mari del Nord e poco appariscente in Mediterraneo, e Nausicaa fece ricoprire il vigoroso naufrago, non tanto per celarne la nudità, ma piuttosto per proteggerlo dal freddo. Vinci ritiene, inoltre, perfettamente compatibili i diciassette giorni di navigazione, di cui due alla deriva abbracciato al tronco, impiegati da Ulisse per raggiungere la terra dei Feaci dall'isola di Calipso.

TAV 1- Luoghi omerici nel Baltico e Mare del Nord

"Per diciassette giorni navigò traversando l'abisso,/ al diciottesimo apparvero i monti
ombrosi/ della terra feacia: era già vicinissima,/ sembrava come uno scudo,
là nel mare nebbioso"
Dalla terra dei Feaci, che l'Autore colloca nella parte meridionale dell'attuale Norvegia, individua in un arcipelago Danese posto tra la Penisola dello Jutland e la grand isola di Fyøna, quello che più verosimilmente assomiglia alla descrizione omerica:
"Abito Itaca aprica: un monte c'è in essa,/ il Nerito sussurro di fronde, bellissimo:
intorno s'affollano/ isole molte, vicine una all'altra,/ Dulichio, Same
e la selvosa Zacinto./ Ma essa è bassa, l'ultima là, in fondo al mare,/ verso la
notte: l'altre più avanti, verso l'aurora e il sole"
Cosi' l'Autore trova la collocazione per le tre isole principali, Dulichio (l'isola Lunga ), di cui in Mediterraneo, asserisce non esservi traccia, Same, Zacinto e la piccola Lyø “verso la notte”, appunto la più occidentale, che parrebbe, anche corrispondere meglio alla descrizione omerica dell'Itaca d'Ulisse.

TAV 2 Itaca mediterranea e Itaca baltica

Continuando sulla falsa riga delle indicazioni fino a qui verificate, nel libro si vedrà, come venga trovata una precisa collocazione a tutte le località omeriche, arrivando fino a situare l'antica Troja in coincidenza con un piccolo villaggio della Finlandia meridionale Toija, i cui dintorni topografici s'avvicinano alla descrizione fatta dall'autore dell'Iliade.
Giunti a questo punto è inevitabile chiedersi come sia stato possibile che i nordici Argivi omerici abbiano trasferito i loro toponimi e le loro leggende dal brumoso Mar Baltico al solatio Mediterraneo?
Felice Vinci ipotizza una grande migrazione verso sud, attorno al 3000 a.c., resa necessaria dall'avvenuto cambio climatico per cui le estreme regioni nordiche abitate dalla popolazione achea, che fino a quel momento avevano goduto di quello comunemente chiamato “optimum climatico” divennero sempre più inospitali, spingendo queste genti a scendere sempre più a sud fino a ritrovare un ambiente, il Mediterraneo, simile a quello che avevano lasciato.
(nota: la climatologia situa tra il 10.000 e il 4000 a.c. un periodo in cui le temperature medie erano più alte di 2-3° rispetto a quelle attuali; il raffreddamento divenne più marcato a partire dal 3500 a.c. e il periodo dell'Optimum climatico, è considerato finito nel 3000 a.c. n.d.a.)
La storiografia non è ancora riuscita a definire in modo inequivocabile la provenienza del popolo Acheo, che occupò la penisola del Peloponneso attorno al 1500 a.c., e si limita a definirli “una popolazione indoeuropea”, ma Felice Vinci è persuaso che arrivassero direttamente dalle regioni del Baltico e che trasferirono le loro leggende e conoscenze nel bacino mediterraneo.
A sostegno della sua tesi, il Vinci porta diverse considerazioni, tra cui: la capigliatura bionda (sia Ulisse che Menelao sono definiti da Omero biondi. n.d.a.), la dea Minerva ha gli occhi azzurri, del resto è anche storicamente assodato che gli Achei fossero biondi.
Fa ripetutamente notare, inoltre, che l'ambiente climatico descritto nel poema è ben lontano da quello mediterraneo: mare sempre cupo e burrascoso, venti freddi, diffusissime le nebbie, descrizione di fenomeni quali l'aurora boreale, i protagonisti si vestono con indumenti pesanti e perfino folte pellicce, banchettano sempre attorno a focolari accesi, tutti elementi che fanno pensare a un clima ben diverso da quello abituale nel Mediterraneo, tanto più che le vicende narrate dll'Odissea si svolgono nel periodo favorevole alla navigazione; l'estate, che nell'antichità, era reputata l'unica possibile per la navigazione.
Sarebbe qui troppo lungo e dispersivo elencare tutte le ragioni argomentate da Felice Vinci, che, ad esempio fa dei ragionevoli paralleli tra la mitologia e le leggende nordiche e quelle del mondo acheo.
La lettura di Omero nel Baltico è avvincente e per molti versi convincente, anche se mancano ancora quei ritrovamenti archeologici che potrebbero in modo definitivo ribaltare il mondo omerico dal solare Mediterraneo al brumoso Mar Baltico.
Riflessioni e dubbi
Molto tempo fa, avevo già letto di un altra teoria che vedeva l'Odissea ambientata tra le isole britanniche.
In questo caso le peregrinazioni dell'astuto Ulisse prendevano le mosse dal Mediterraneo, si dipanavano tra le isole britanniche, per poi concludersi in Mediterraneo, e il racconto di Ulisse ad Alcino altro non era che una narrazione cifrata per permettere, a chi possedeva la chiave del codice, di ripercorrere la rotta da lui fatta per rifornirsi del prezioso stagno; informazioni che l'astuto Ulisse non voleva dare al suo soccorritore, ma che era anche un suo concorrente nei commerci. La Britannia era, infatti ricca di stagno, indispensabile per ottenere il bronzo fondendolo con il rame, e Ulisse vi si recò per non ritornare a mani vuote, dopo dieci anni di guerra, alla sua Itaca.
Questa teoria era seduttiva e in parte credibile, ed aveva il grande vantaggio di rendere di pura fantasia tutte le avventure raccontate da Ulisse ad Alcinoo, e inoltre mi permetteva, pur non rinunciando al mediterraneo, di non rompermi la testa cercando di far collimare le peregrinazioni d'Odisseo, con la nota geografia mediterranea.
Lo studio di Felice Vinci è di sicuro molto più articolato, serio e documentato, e direi intrigante perché sembra mettere al loro posto tanti pezzi di un puzzle che prima non volevano proprio trovare una giusta collocazione, nonostante questo fatico ad accettare che mi abbiano privato del tanto amato e inseguito Ulisse mediterraneo!
Alcune considerazioni geografiche
Senza voler entrare in una disquisizione, cui non ho le competenze, ci sono alcune cose che di primo acchito mi hanno lasciato perplesso nella pur completa e approfondita teoria espressa in Omero nel Baltico.
Da navigatore trovo deboli le basi su cui Felice Vinci ha individuato nelle Faerøerne l'isola di Calipso, ed è da questo punto fisso che prende le mosse tutta la successiva ricostruzione della geografia omerica nel Baltico; ricordiamoci che Plutarco scrisse, come è riportato testualmente ne Omero nel Baltico:
l'isola Ogigia, dove la dea Calipso trattenne a lungo Ulisse prima di consentirgli il ritorno ad
Itaca, è situata nell'Atlantico del nord, a cinque giorni di navigazione dalla
Britannia in direzione occidente".



TAV 3 Rotte e distanze 

Ebbene se dal capo Whath in Scozia (Nord ovest delle Scozia. n.d.a.) volessimo navigare verso Sodhuroy, che è l'isola ipotizzata essere l'Ogiggia omerica, dovremmo coprire 173 miglia nautiche con rotta vera 343°, in parole povere quasi dritti per Nord!
Direzione tutta differente dalle affermazioni di Plutarco che situa le isole a Occidente della Britannia; riguardo ai cinque giorni di navigazione la valutazione diviene più difficile, poiché non vi sono dati precisi sulla velocità media delle navi onerarie romane del primo secolo d.c., le uniche su cui Plutarco potesse fare delle congetture. Sappiamo, però, che queste navi potevano tenere una media di oltre 6 nodi nella traversata tra Ostia e Alessandria d'Egitto, in presenza di venti favorevoli. Nella parte di Atlantico del Nord di cui stiamo parlando, nella stagione estiva non esistono venti predominanti, e questi soffiano a una forza media 4 Beaufort, in modo quasi eguale da tutti i quadranti; con un alternanza di venti favorevoli, rare calme e venti contrari, è possibile ipotizzare, per una nave che disponesse anche di propulsione a remi, una velocità media non inferiore ai 2,5 nodi, equivalenti a 60 miglia nelle 24 ore, quindi 300 miglia in cinque giorni, quasi il doppio della distanza dichiarata che separa il nord della Britannia dalle Faerøerne.



TAV 5 venti predominanti mare del nord

La distanza di 173 miglia in cinque giorni, è invece troppo breve anche per una nave del tempo, significherebbe, infatti, 30 miglia nelle 24 ore, ossia meno di 1,5 nodi, tempi poco probabili, anche se in mare tutto è sempre possibile!
Tracciando un cerchio con raggio di 300 miglia nautiche e centro sul Capo Whath, non s'incontra nessuna terra verso ovest, e solo la Norvegia in direzione Est, il cerchio s'avvicina, però, all'Islanda che si trova a 446 miglia per 320°.
La direzione, sebbene leggermente più a Ovest, resta in ogni modo prevalentemente a Nord, ma la distanza per una nave del tempo di Plutarco, in condizioni favorevoli è invece possibile, si tratterebbe, infatti, di navigare a una ragionevole media di 3,8 nodi. In questo caso, però, diventerebbe più difficile fare collimare i diciassette giorni e le diciassette notti in cui Omero fa navigare Ulisse attraverso “l'abisso di mare”, prima su di una zattera e poi aggrappato a un tronco; vorrebbe dire, infatti, che l'inclito marinaio navigò, da solo e su mezzi tanto primitivi, alla media di quasi 2 nodi, e bisogna tenere conto anche che le ultime circa 200 miglia le percorse alla deriva.
Inoltre l'Islanda è troppo alta di latitudine e difficilmente doveva avere, nonostante le favorevoli condizioni dell'optimum climatico, le condizioni climatiche abbastanza temperate descritte da Omero per l'isola d'Ogiggia.
Le uniche isole che si trovano a occidente del nord della Bitannia sono le Ebridi, che però distano dalla costa solo 24 miglia e sono incompatibili con le peregrinazioni d'Ulisse, sia per raggiungere l'isola di Calipso, sia per lasciarla.
Mi pare, in sostanza, che sia poco probabile individuare l'sola di Calipso con le indicazioni date da Plutarco, che scriveva da una distanza temporale enorme rispetto ai fatti Omerici, e che probabilmente alla sua epoca, o non disponeva di dati geografici precisi, o prese una grande cantonata!
Se però si accetta l'identificazione dell'antica Ogiggia con la moderna Sodhuroy, la ricostruzione geografica, che fa Felice Vinci, della navigazione d'Odisseo da Ogiggia alla terra dei Feaci (Norvegia meridionale n.d.a.) fino a Lyø, la presunta Itaca baltica, con qualche necessaria forzatura è plausibile.
Non voglio qui analizzare tutta la complessa e dettagliata ricostruzione del mondo omerico nella realtà geografica del Baltico, fatta dal Vinci, mi preme solo rilevare due cose che mi lasciano molto perplesso.
Come avevo già detto, l'autore individua anche la supposta Troja in corrispondenza di un villaggio della Finlandia meridionale che ha una curiosa assonanza di nome: Toija, e che anch'essa, come la città dell'Iliade, è situata su un modesto rilievo e circondata da da due fiumi che vanno a sfociare nel mare, che però è a ben 40 chilometri dalla città!
Sempre in Finlandia, nella Carelia meridionale si trova un altro villaggio con il medesimo nome, distante circa 64 chilometri dal mare; la ridondanza del toponimo, fa nascere dei dubbi sulla relazione con la presunta Troja omerica.



TAV 5 Troja nel Baltico, identificata con il villaggio di Toija


 TAV 6 il sito archeologico di Trojia in Anatolia

La distanza dal mare della Troja di Schiliemann è, invece, di poco più di 4 chilometri, anche i due fiumi, lo Scanandro e il Simoenta sono facilmente individuabili, e il sito sembra essere ragionevolmente compatibile con quanto narrato nell'Iliade.
Pur volendo credere in un considerevole ritiro del mare dai tempi preistorici (come avvenuto in Mediterraneo), non torna però più, la precisa corrispondenza tra le coste di Lyø e l'Itaca descritta da Omero, cosi ben individuati dall'autore; con un mare più basso Itaca sarebbe stata considerevolmente più grande, se non perfino collegata alla vicina Fyøna, il braccio di mare che le separa ha, infatti, una profondità modesta, attorno ai 12 metri, con un breve affossamento a circa 22 metri!
Un altro elemento che non mi ha convinto da subito nelle enunciazioni del Vinci è, e cito testualmente:
... e Dulichio, l'isola "Lunga" ("dolichòs" in greco) situata da Omero nei pressi di Itaca
ma inesistente nel Mediterraneo, viene menzionata più volte, anche nell'Iliade.”
Tutti coloro che hanno navigato lungo le coste della Dalmazia, conoscono invece, molto bene Dougi Otok, che oltre ad essere fisicamente lunga, e quindi simile alla Langleand Danese (la Dulichio omerica. n.d.a.), ha di fatto il medesimo nome, di certo è relativamente lontana da Itaca, però contraddice l'affermazione che in Mediterraneo non esista un isola simile.
Alla base di questa ricostruzione, come del resto di tutte le altre del mondo Omerico, vi è sempre la presunzione che Omero, o chi per lui, raccontasse fatti realmente accaduti e fosse anche un profondo conoscitore della realtà geografica del mondo in cui erano ambientati, e si finisce quasi sempre nel ripercorrere le orme degli eroi omerici, quasi con il testo alla mano!
Abbiamo però visto come anche le asserzioni di Plutarco, che pur scriveva in una epoca storicamente molto più vicina alla nostra rispetto a quella omerica, sia del tutto inaffidabile nelle sue ricostruzioni geografiche; come possiamo pensare, allora, che Omero potesse invece conoscere cosi bene la realtà geografica del Mediterraneo, tanto da poter creare itinerari coerenti?
Non sarebbe allora possibile pensare che Omero, avesse narrato le avventure di un leggendario eroe dell'antica storia delle genti achee, che si, s'erano spostate dal Nord al Mediterraneo, e qui avevano in effetti combattuto una guerra come quella di Troja, ma le avventure di Ulisse, che prendono le mosse dal fatto storico di Troja - storia quasi certamente raccontata da un altro cantore - siano invece un puro racconto fantastico, in cui effettivamente vengono a volte inseriti elementi delle leggende nordiche, senza nessuna pretesa d'esattezza geografica, ma evidentemente inserendovi notazioni tipiche di quelle regioni; come il clima freddo, la nebbia, l'ampio uso di dritti pali d'abete e molte altre cose giustamente rimarcate dall'autore d'Omero nel Baltico.
Questa interpretazione mi piace, perché così posso continuare a immaginare Ulisse in Mediterraneo, anche se con alcune puntate al Nord, e mi sento meno defraudato!

Link:










domenica 3 agosto 2014

Il mistero della mappa di Piris Reis






In occasione del primo mio scalo, al Museo Oceanografico di Rio Grande do Sul, nell'Aprile del 2006, ci trovammo una sera, con un piccolo gruppo d'altri naviganti, attorno al tavolo della piccola Club Hause, ospiti di Lauro Bacellos, il colto direttore del Museo. 
Un ottima cena, un atmosfera cordiale e rilassata, dunque la cornice ideale per divagazioni a ruota libera sulla navigazione, gli oceani e i misteri a questi collegati.  
Tutti i convenuti, erano arrivati in Brasile attraversando l’Atlantico dall’Europa, fu quindi naturale che il discorso scivolasse su Cristoforo Colombo, e su gli altri grandi navigatori del passato, che contribuirono alla scoperta ed esplorazione del continente Americano.
Consegna della bandiera del Jonathan a Lauro Bacellos
Lauro, ad un certo momento, indicando la riproduzione di un antica mappa appesa alla parete, decorata da tante bandiere, compresa quella del Jonathan che avevamo appena donato al Museo, affermò con sicurezza che di certo non fu il navigatore genovese a scoprire per primo il continente americano, ma che questo era già noto da tempo; come appunto dimostrava la mappa che ci aveva appena indicato.
Riconobbi subito una carta che avevo già visto, molti anni prima, in un bazar di Marmaris (Turchia), si trattava, infatti, della mappa disegnata dall’Ammiraglio Ottomano Piris Reis,
Il soffitto della Club Hause del Museo Oceanografico
quando la vidi la prima volta mi limitai ad apprezzarne la squisita fattura grafica, ma non mi parve molto differente, da altre mappe d’epoca tardo-medioevale, approssimative e fantasiose nei dettagli geografici.
Ora Lauro, asseriva, che la mappa, era antecedente ai viaggi di Colombo, e quindi provava, in modo inequivocabile, come il continente Americano, fosse già noto in epoche precedenti alla sua scoperta ufficiale.
Quella sera nessuno dei convitati aveva sufficienti informazioni per contestare l'affermazione del nostro anfitrione, e la conversazione ben presto si spostò poi sui soliti luoghi comuni inerenti alla scoperta dell’America; i vichinghi d’Erik il Rosso, forse gli antichi Egizi...ecc.
Rientrato in Italia, riordinando i miei appunti di viaggio, m’imbattei nuovamente nella citazione di questa mappa, e mosso da curiosità, diedi inizio ad una ricerca sul web attorno all'argomento.
La ricerca portò ad una vera e propria montagna di risultati, che come accade spesso sul web, si diramavano in innumerevoli ramificazioni, che portavano nei luoghi più disparati e, a volte, improbabili.
Credo che l’argomento sia molto interessante per tutti i naviganti-viaggiatori, ho quindi pensato di raccogliere, senza nessuna pretesa scientifica e senza voler giungere a nuove e sconvolgenti rivelazioni, un compendio della mia ricerca, qualche link e alcune mie personali, e pertanto ininfluenti, conclusioni.


Il PERSONAGGIO


Muhiddin Piri Ibn Haji Mehmet noto a noi come Piris Reis, nacque a (Gallipoli http://it.wikipedia.org/wiki/Gallipoli_(Turchia), sulla sponda europea del Bosforo) tra il 1465 e il 1470 e mori al Cairo, nel 1554 o nel 1555.
Ammiraglio della flotta di Solimano il Magnifico, compi numerose imprese guerresche nelle tormentate acque del Mediterraneo, guadagnandosi fama e ricchezza, ma la passione principale di Piris Reis erano le antiche mappe e la cartografia.
La sua professione gli forniva l’occasione di visitare molti paesi, ed il suo rango, gli consentiva l’acceso a parecchie fonti d’informazione, anche riservate, quali archivi di stato e biblioteche.
Si racconta che, alla fine della sua vita, avesse raccolto un’imponente quantità di antiche mappe e portolani, collezione, che purtroppo, andò perduta.
La fama acquisita da Pris Reis, come cartografo, indusse il Sultano a commissionargli la stesura di un Portolano (Kitabi Bahriye" (Il Libro del Mare), in cui dovevano essere descritte tutte le terre allora conosciute.
Come accadeva spesso allora carriera dell’Ammiraglio-cartografo, ebbe un tragico epilogo; accusato di corruzione e tradimento, venne decapitato, per ordine del medesimo Solimano, e probabilmente la brusca interruzione della vita di Piris Reis non gli ha permesso di concludere completamente la sua opera e di tramandare in modo compiuto la siua collezione e le sue conoscenze, ccomprese le fonti a cui attinse molte delle sue stupefacienti informazioni.

La Mappa.
Nel 1929, durante i lavori di ristrutturazione dell’ex palazzo imperiale (il Topkapi), ora trasformato in museo, il direttore rinvenne due mappe, realizzate su pelle di gazzella, firmate dall’Ammiraglio Piris Reis, e con primi rilievi effettuati la mappa fu  fatta risalire al 1513.
Nel 1931 la mappa fu ufficialmente presentata al pubblico, in occasione del 18° congresso degli Orientalisti, tenutosi in Olanda.
Il mondo scientifico si rese immediatamente conto dell’eccezionalità del ritrovamento, delle implicazioni e degli enigmi, che questa antica carta portava con se.
Oggi noi non abbiamo, però, l'intera mappa di Piris Reis che doveva rappresentare il mondo intero, ma solo una piccola porzione.
La parte, di cui disponiamo, rappresenta, sul lato Est la penisola Iberica, ed una grande porzione dell’Africa, ad Ovest la zona del Mar dei Carabi, e tutta l’America del sud sino ad una terra che alcuni, studiosi, identificano con l’Antartide.
Dalle note, vergate dal medesimo Piris Reis, si evince, che la mappa è stata realizzata partendo da diverse mappe sorgenti, di cui alcune tratte da carte di coevi esploratori portoghesi, altre dalle mappe già in possesso di Cristoforo Colombo, ed altre ancora d’epoca Alessandrina.
Piris Reis si autodefinisce, quindi, come un mero compilatore, o come diremmo oggi, un assemblatore d’informazioni reperite in differenti fonti.
Il medesimo Piris Reis, asserisce d’aver ricevuto le carte di Cristoforo Colombo, dalle mani di un marinaio spagnolo, che partecipò ai primi viaggi di Colombo; il marinaio, di cui non si conosce il nome, fu fatto prigioniero dalla flotta Ottomana, nel corso di uno scontro navale in mediterraneo, probabilmente nei pressi di Gibilterra.
Nel 1953, un ufficiale della Marina Turca, consegna la mappa al capitano Arlington H. Mallery, dell’Istituto Idrografico della Marina degli Stati Uniti, perché fosse esaminata secondo i criteri della moderna cartografia.
Nel 1960 il Tenente Colonnello Harold Z. Ohlmeyer, della Marina degli Stati Uniti, redige una relazione ufficiale delle analisi effettuate sulla mappa.
Inoltre dai rilievi effettuati nel 1953 e nel 1960, emergono alcune considerazioni molto precise:
1-  La posizione in latitudine delle terre disegnate è molto esatta, circa1° d’errore. (Si noti che giusta latitudine, poté essere definita solo dopo il 1753. n.d.a.)
2-   La mappa è stata disegnata con un sistema di proiezione, molto simile a quello utilizzato ora, cosa che presuppone che l'estensore avesse un’elevata conoscenza della trigonometria sferoidale.
3-   Le terre rappresentate nella parte meridionale, coincidono in maniera stupefacente, alla linea costiera dell’Antartide, come apparirebbe se fosse priva della calotta di ghiacci.

Sostenitori ed Oppositori

Naturalmente la Mappa di Piris Reis, (ed altre antiche carte consimili, anche se non coeve), diedero luogo a tutta una serie di teorie e polemiche tra scienziati e studiosi. Tra queste è di particolare interesse la teoria sviluppata da Charles Hapgood che nel 1966, pubblicò un articolo in cui sviluppava una complessa teoria geografico-archeologica, in cui tendeva a dimostrare, non solamente la veridicità delle mappe, ma anche che queste rappresentavano il continente Antartico, sede di un’evoluta società antidiluviana coincidente con il mito d’Atlantide.
Come sempre, il mondo scientifico, si divise in due partiti:
Da un lato gli assertori della veridicità della Mappa sostenenti la tesi che Piris Reis avesse copiato le carte da mappe sorgenti risalenti ad un’epoca antecedente al diluvio universale (ossia almeno 11.000 anni or sono, quando è accertato che la calotta Antartica era in parte libera dai ghiacci). 
Principale e più blasonato esponente il già citato Hapgood.
Dall’altro gli scettici e realistici, che tendono a dimostrare come le mappe dell’Ammiraglio Ottomano, siano un prodotto della sua epoca, e quindi tratte unicamente dalle informazioni già esistenti in quel preciso momento; al proposito si veda la rigorosa relazione di .Diego Cuoghi

Per comodità si potrebbero definire Sostenitori, gli appartenenti al primo gruppo, ed Oppositori, quelli del secondo.

Le ragioni dei Sostenitori:
1-  Nel 1513 la scoperta delle Americhe era troppo recente per consentirne un’accurata cartografia.
2-  Se è possibile affermare che la zona Caraibica sia tratta dalle informazioni di Cristoforo Colombo, come lo stesso Piris Reis dichiara (cartografia, per altro, assolutamente inesatta n.d.a), è ben difficile pensare che tutta la costa del Sud America fosse cartografata con tale precisione solo tredici anni dopo la sua scoperta; a tal proposito può essere utile la seguente tabella cronologica.



data
Navigatore, autore
Terra scoperta
Nota
1492
Cristoforo Colombo
primo viaggio e scoperta dell'America
1500
Vespucci
al Rio delle Amazzoni
Calcolo empirico, sulla posizione della luna, per determinare la longitudine.
1500
Cabral
Porto Seguro
22-apr
1500
al Rio delle Amazzoni
26-gen
1501
Cabral
Salvador de Bahia primo novembre
1502
Vespucci
Rio de Janeiro
1502
Vespucci
Rio della Plata
1502
Vespucci
Rio Cananor.
 Forse al 52° S.?
1504
Vespucci
Fernando de Nornha
1513
Piri Reis
mappa
1531
Magellano
a sud del 40°
1549
fondazione di Bahia
Ben rappresentata sulla mappa.
1592
John Davis
scopre le Falkland
1615
Circumnavigazione del Cabo de Horne
1642
Tasman
Australia
1753
Determinazione della Latitudine

3-  Nella mappa del Sud America, Piris Reis disegna ed indica la cordigliera delle Ande, all’epoca ignota, e rappresenta i lama ed i puma, specie ancora sconosciute.
4-  La latitudine è quasi perfetta, cosa per l’epoca ritenuta impossibile.
5-  Le terre a Sud coincidono con il profilo dell’Antartide come privo di ghiacci, il che significherebbe che questa area fu rilevata almeno 11.000 anni or sono

Seguendo questo ragionamento si può pensare che Piris Reis utilizzò effettivamente delle mappe sorgenti rinvenute nella Biblioteca Alessandrina, - quella fondata da Alessandro Magno e distrutta in epoca cristiana da dei fanatici - e redatte da un’antichissima civiltà che aveva conoscenze planetarie.

Gli Oppositori:

Partendo da presupposti di logica e razionalità, intendono dimostrare che la mappa fu realizzata utilizzando unicamente le conoscenze presenti all’epoca.
Per farlo si soffermano, principalmente sugli errori riportati dalla mappa, alcuni dei quali sono evidenti anche agli occhi di un osservatore non particolarmente preparato nella materia:

1 – Tutta l’area del mar dei Carabi è rappresentata in modo approssimativo e con palesi errori, sia di proporzioni che d’orientamento. Sembra riflettere l’immagine che i contemporanei avevano del Giappone e della Cina (Ossia le terre che Colombo credeva d’aver scoperto n.d.a.)
2 – Nella parte corrispondente all’odierno Brasile, il Rio delle Amazzoni è raffigurato due volte, ed una senza estuario; fanno notare, inoltre che l’estuario del fiume era già stato raggiunto da Ammerigo Vespucci nel corso del suo primo viaggio.
3 – Le Isole Falkland (Maldive), probabilmente furono avvistate sempre dal Vespucci, in data antecedente la stesura della mappa.
4 – La supposta Antartide, è rappresentata come congiunta alla Terra del Fuoco, e la parte finale del continente Sud Americano, ha un orientamento errato.

Ne concludono che la mappa di Piris Rei, non è altro che il collage, per altro di pregevole e d'intelligente fattura, delle conoscenze geografiche allora disponibili, con l’aggiunta di un pizzico di inventiva fantasiosa, cosa comune ai cartografi di quel periodo.

Le mie personali opinioni:

Le interpretazioni, presentate da entrambi i gruppi, potrebbero essere tutte condivisibili, la propensione per l'una o per l'altra teoria dipende solo dall'atteggiamento di ciascuno, ossia se ci si pone di fronte al problema con una predisposizione al mistero, o un atteggiamento freddamente razionale.
Personalmente non propendo molto per il mistero, ma ciò nonostante mi pare molto difficile giustificare in modo razionale, alcuni fatti: 
a – In quel periodo, per rilevare la linea delle coste, si utilizzavano metodi molto empirici, basati principalmente sull'osservazione visiva.
Per migliorare il risultato si doveva procede re con successive approssimazioni, cosa che comportava molto tempo; non si capisce, allora, come pur essendo state costeggiate le coste dell’America del Sud, da Cabral e da Vespucci, questi avessero potuto rilevarne i contorni con tale precisione.
b - Nella mappa di Piris sono rappresentate in modo quasi perfetto la grande Baia di Todos os Santos, e cosa ancor più sorprendente l’estuario del Rio della Plata; pur ammettendo che, questo, fosse stato già raggiunto da Vespucci, certo non ebbe il tempo ed il modo di rilevarlo con accuratezza.
La mappa indica anche con precisione lol'imboccatura dello Stretto di Magellano, scoperta dal navigatore portoghese nel 1521, ossia otto anni dopo la data d'estensione della mappa!
c - Sempre il Vespucci, conosceva certamente l’estuario del Rio delle Amazzoni, ma aveva risalito il corso del fiume solo per poche miglia, quindi non poteva sapere da dove nascesse, considerando anche che all’epoca la Cordigliera delle Ande era ancora ignota.
d - Vespucci, nel diario del suo terzo viaggio, racconta d’aver avvistato, a sud del Rio della Plata, una terra ( probabilmente le Falkland ), ma a causa di una burrasca (sicuramente un fronte freddo con forti venti da Sud, ben noto anche ai naviganti odierni. n.d.a.), fu costretto a rimanere alla cappa. Non ebbe, quindi modo di vedere le isole da vicino, né di determinarne la giusta posizione.
e – Rimane, poi, irrisolto il problema della Longitudine, che può essere determinata solo conoscendo la differenza oraria tra un meridiano prefissato di partenza (convenzionalmente è stato universalmente accettato quello passante per Greenwich ), e la posizione dell’osservatore. 
 Come già detto, questo calcolo divenne preciso solo dopo il 1753 con l’invenzione, ed il perfezionamento, del cronometro, per opera di Jhon Harrison
Occorre, però, dire che Ammerigo Vespucci asseriva di poter calcolare in modo soddisfacente la sua posizione in longitudine, con il metodo delle “Distanze lunari”.

Queste considerazioni, m’inducono a ritenere che, Piris Reis, difficilmente avrebbe potuto ricavare dalle osservazioni dei naviganti della sua epoca, le informazione utili a disegnare le coste del Brasile e dell’Argentina in modo cosi realistico.

Rimane quindi aperto il problema di dove e come Piris, avesse recuperato queste informazioni.

I Sostenitori sviluppano, al proposito, differenti teorie, alcune molto fantasiose.
Hapgood, ad esempio, suppone che nel continente Antartico avesse sede un’antica civiltà identificabile con il mito di Atlantide.
E’ accertato che l’Antartide, 11.000 anni fa, aveva un clima temperato, quindi, secondo Hapgood, i suoi abitanti, avrebbero potuto disegnare le mappe delle coste del loro continente (probabilmente unito alla terra del Fuoco) e di tutta l’America del Sud; un cataclisma planetario ( forse il Diluvio Universale? n.d.a.) avrebbe provocato il congelamento dell’Antartide, con conseguente scomparsa senza lasciare tracce, della civiltà evoluta che l’abitava.
I pochi superstiti al cataclisma, si sarebbero, allora, parsi per il mondo, portando con se alcune delle loro conoscenze, e le avrebbero passate ad altre civiltà, allora in via di sviluppo. (ad esempio gli Egizi, e da qui la possibilità che alcune mappe potessero essere presenti nella Biblioteca d’Alessandria. n.d.a.)
Altri suppongono che le carte sorgenti di Piris Reis, siano state realizzate da un’antica civiltà (Alieni?) che disponeva di una sorta di satellite Geo stazionario posizionato esattamente sulla perpendicolare del Cairo...

Ritengo che la teoria di Hpgood, potrebbe anche essere, in parte spiegabile, ma accogliendola, anche se con riserva, nascerebbe subito un altro problema di coerenza:
E’ universalmente ritenuto, che il livello dei mari, 11.000 anni fa, fosse più basso, quindi la linea costiera dei continenti doveva essere differente dall’attuale, e molto simile a quella corrispondente alla batimetria della piattaforma continentale.
Come sarebbe possibile che questa supposta antica Civiltà (terrestre o aliena che fosse), potesse disegnare le linee costiere dei continenti come ci appaiono oggi, e non come dovevano apparire allora?

Credo, in definitiva, che il mistero della Mappa di Piris Reis, sia destinato a rimanere tale, almeno fini a quando in un prossimo futuro, non emergano altri elementi o riscontri archeologici in grado di farne, definitivamente luce.