
Sfogliando le patinate riviste del mondo della vela – che esistono anche qui -, guardando su internet le regate “virtuali” di moda in questo momento, mi sento sempre più vicino agli indios che hanno scelto di ritirarsi nelle riserve.
Sto solo aspettando che aprano una “riserva per velisti obsoleti” per potermi ritirare tra i pochi superstiti miei consimili. So benissimo che in questo modo mi esporrò' allo scherno ed al ludibrio dei nuovi turisti che verranno a visitare la riserva, come ci si reca allo Zoo o al Circo Equestre. Giovani aitanti, vesti con capi di avveniristico abbigliamento tecnico “griffato”, accompagnati da biondissime bamboline plasticose, ci additeranno sghignazzando:
- “Guarda quello, quello con i bermuda stracciati, là in fondo sta girando a mano con una manovella un antico verricello! - E quell'altro, con la pipa ed il cappellino di lana, sta attaccando con dei ganci una vela a un cavo metallico, e la issa a mano tirando su una corda! - Incredibile, non ci posso quasi credere, quella signora ancora carina, sulla piccola barca gialla, usa una barra di legno per pilotarla!”-
Noi faremo tutti mostra di non vederli e di non sentirli, e continueremo imperterriti a navigare riportando la nostra posizione su un pezzo di carta usando una matita, scruteremo l'orizzonte strizzando gli occhi o attraverso le lenti di un banale binocolo, e proseguiremo cosi tranquilli, fino a quando l'ultimo di noi non si sarà estinto, e ne rimarrà solo lo sbiadito ricordo su qualche vecchia fotografia.
Da bordo del Jonathan sul Rio della Plata
dev'essere davvero un'esperienza andare in una riserva indiana
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