domenica 1 febbraio 2009

NAUFRAGI

Non ho mai visto una carta nautica con tanti simboli d navi affondate, come quella del Rio della Plata,
la navigazione tra Buenos Aires e Colonia del Sacrameto, in Uruguay, è uno slalom tra boe che segnalano scafi “undidos”, e bassi fondali. Mi sono sempre chiesto a cosa fosse dovuta questa ecatombe, difficilmente spiegabile, anche tenendo conto delle obbiettivamente difficili condizioni di navigazione in queste acque. Una risposta, anche se sarcastica ed ironica l'ho recentemente ottenuta, proprio a Colonia.
William, l'amico Uruguayo che mi accompagna alla ricerca di un pezzo di ricambio per il mio frigorifero, è un uomo grande con un largo viso simpatico, in cui l'occhio sinistro semi-chiuso , forse per un difetto di natura o per un incidente mai dichiarato, gli conferisce un vago aspetto da bucaniere. Durante il giro alla ricerca di un frigorista che gioca a nascondino con noi, passiamo vicino al “tailler” (laboratorio) di William, che ne approfitta per farvi una breve sosta.
E' un capannone in lamiera perduto nel nulla, circondato da sterpaglie in cui si intravedono scafi abbandonati e rottami d'auto d'epoca, all'interno, in una confusione totale di piccole barche in lavorazione, motori marini, alberi d'alluminio e attrezzature nautiche di ogni genere, spicca una teca in cristallo, in cui fa bella mostra di se, una riproduzione del “Victory” di Nelson, perfettamente restaurata e molto bella, è l'unica cosa che appare nuova ed efficiente, sebbene , come mi racconta William, sia molto antica e reduce da un restauro durato ben otto anni. Ma la mia attenzione è forse, più attratta dai rottami che dallo splendido modello, e chiedo al mio accompagnatore che motore sia, quello dipinto in verde e parzialmente smontato che vedo su un banco vicino alla teca del Victory:
“E' un Volvo, che abbiamo recuperato da una barca a vela affondata, anche quell'altro la nell'angolo lo abbiamo recuperato da un relitto, come tutti gli alberi che vedi appesi alle pareti, ma vieni a vedere cosa sto facendo qua fuori.”
Mi porta all'esterno, e mi mostra, con evidente orgoglio, lo scafo di un motoscafo in fibra di circa dieci metri, è evidente che stanno assemblandoli una coperta completa d tuga e “Flay brige” .
” Lo scafo lo abbiamo recuperato da un motoscafo affondato lungo dieci metri, la coperta da un altro, ma più grande. La abbiamo adattata alle dimensioni dello scafo, e poi monteremo il motore Mercruiser, che hai visto prima, e rivenderemo il tutto. Bisogna pur guadagnarsi da vivere!”
Mi viene spontanea la domanda al quesito che da tempo mi assillava, e domando a William, perché vi siano tanti naufragi. Con un ghigno che accentua maggiormente il suo aspetto piratesco, mi risponde:
"Porque, por nuestra suerte, los arghentinos, non saben navegar!
Allontanandoci dal “tailler”, passiamo accanto ad un altro grande capannone, sul cui ingresso spicca la scritta – Museo de los Naufragios – mi vengono alla mente i racconti dei falsi fuochi accesi anticamente, lungo le coste della Cornovaglia per attirare i velieri con la falsa promessa di un sicuro approdo per farli naufragare, e poi depredarli. Che il moderno Rio della Plata, non sia poi tanto differente?
P.S.
Gli amici argentini, che conosco come ottimi naviganti, non me ne vogliano per la frase di Wiliam, anche se a volte, ho visto molti loro connazionali, navigare in modo un poco spericolato!

Nessun commento:

Posta un commento